mercoledì 6 febbraio 2008

Un cuore Bastardo



Il suo cuore era morto.
Lo vedeva come uno di quei cuori che vengono usati per gli esperimenti: aperto, sezionato, indagato ed ora pieno di suture.
Come poteva un cuore così battere ancora?
Lo sentiva rattrappito, dolorante, freddo, vuoto.
Avrebbe concesso solo il suo corpo, non la sua mente, non il suo cuore.
Poi un incontro casuale. Uno tra i tanti e quella sera aveva sentito un fremito dentro.
Parole sussurrate tra la musica, gesti casuali, ma intimi.
Ed il suo cuore aveva ricominciato a pulsare, flebilmente, impercettibilmente, quasi senza farsene accorgere.
“Traditore! Sei ferito, sei pieno di punti, sei pieno di rattoppi, non puoi permetterti un altro taglio. Non hai spazio per altre suture. Non puoi battere, nemmeno impercettibilmente. Non te lo consento!”
Un cuore batte, per un breve periodo di tempo anche fuori dal corpo. Si dice che siano le contrazioni autonome che, per qualche minuto, continuano anche se il cuore è tolto dall’organismo d’appartenenza; io dico che sono i ricordi a farlo battere ancora per un po’.
Lei non ne vuole avere più di ricordi, né belli, né brutti.
Vuole vedere e sentire dentro di se il deserto.
Non vuole più abbandonarsi a parole sussurrate, a caldi abbracci, ad occhi indagatori dell’anima.
Non vuole, perché poi quando questi vengono a mancare ci sta troppo male, ed ha finito le scorte di filo da sutura per il suo cuore.
Ogni volta che è stato ferito, si è seduta su una sedia a dondolo, vicino la finestra, alla luce di una candela, ha preso ago e filo e si è messa, pazientemente, a ricucire il suo cuore. Troppe volte le sue dita si sono punte, troppe volte il sangue delle mani s’è mischiato con il sangue che usciva dalle lacerazioni del suo cuore; ora i suoi occhi sono stanchi e le sue dita tremano, non vuole rischiare di dover ancora trovare un piccolo spazio per un rattoppo ad un cuore moribondo, meglio lasciarlo morire.
Che venga estirpato dal corpo, che batta ancora un po’ da solo, su un mobile, alimentato dai ricordi, ma che poi finalmente smetta di vivere, di sentire, di soffrire.
Ma lui niente, traditore, non ne vuole sapere di morire.
E chiama le lacrime a farsi portavoce di quello che pensa e prova.
“Sono giovane, sono malato, ma guarirò, dammi tempo, le suture si assorbiranno, e delle cicatrici conserverai solo un lontano ricordo, non le vedrai quasi più. Batterò forte e vigoroso, sarò rosso fuoco, conserverò solo ricordi belli, ti prego, lasciami battere, lasciami vivere!”
“Bastardo, questo sei! Sei un bastardo! Traditore e bastardo! Usi le lacrime, perché pensi portino via il sangue che copre le mie mani, pensi leniscano le ferite delle dita, che mi sono fatta mentre ti ricucivo, pensi che, cadendo su di te, ti facciano sembrare più lucido, meno malato, meno rattoppato, ma non è così! Le vedo tutte le tue ferite, lo vedo che fai fatica a battere ancora.”
“Non è vero, sono i tuoi occhi stanchi che ti mostrano quello che non sono, sono le tue orecchie ovattate dalla rabbia, dalla delusione, dal dolore, che ti fanno sentire i miei battiti come lontani, come quasi spenti, ma io ci sono! Sono vivo!”
“Sei moribondo, la mia scelta è un atto caritatevole, ti lascio morire, basta con questo accanimento terapeutico.”
“Non è misericordia la tua, non è un atto di amorevole pena, è un omicidio perché io sono vivo! Malato, forse, ma vivo e pronto a rinascere dalle mie ceneri, come la fenice.”
“Non è vero, aspetti solo il momento giusto per tradirmi ancora, ti vedo come stai male!”
“Sei tu che vuoi vedermi così, sei tu che vuoi fuggire il dolore, io l’affronto, sempre.”
“ E certo, perché sono io che poi ti ricucio, sono io che ti devo portare in petto, sono io che ti devo nutrire con il mio sangue!”
“Non avresti sangue, senza me che batto, che te lo spingo per tutto il corpo, non avresti corpo, senza di me. Che tu lo voglia o no, siamo un tutt’uno. Tu dai vita a me, ed io do vita a te. Se muoio io, morirai anche tu. Il tuo corpo diverrà un vuoto involucro, non avrai più emozioni, nemmeno di puro piacere fisico, perché per me passa tutto! Passione, gioia, amore, passano da me e poi a te.”
“Ma se sei malato, a poco mi servirai comunque.”
“Dammi tempo, guarirò, abbi fiducia…”
Ancora un’ultima lacrima, pesante, le riga la guancia.
La sente calda scivolarle lungo il viso.
“Sei tu che me la fai sentire così?”
“Si.”
“Ci tieni proprio tanto a vivere?”
“Si.”
“Perché?”
“Perché ho fiducia nella mia forza, cosa che tu non hai nella tua.”

3 commenti:

Anonimo ha detto...

....bello, sul serio, ma chi l'ha scritto, tu?Non vedo nessuna fonte citata quindi deduco di si....bello davvero

Anonimo ha detto...

...sopra ero elena_alf

Elisewinfox ha detto...

...ebbene si, l'autrice sono io ;-)
Grazie! :-)