giovedì 8 luglio 2010

Chi ha spostato il mio formaggio?


Questo libro mi è stato consigliato da una cara amica.

L'aveva letto in un pomeriggio alla Feltrinelli e per lei è stato illuminante.

L'ha aiutata a trovare la forza per un cambiamento e per questo motivo mi ha incuriosito.

Sono sempre affascinata dalle letture che per alcuni sono rivelatrici, poi il discorso del cambiamento, della mutazione, sarà che lo sto vivendo, ma mi interessa ancora di più in questo momento di vita.

Narra la storia di due topolini e di due gnomi che si nutrono di formaggio, vivono felici in un deposito, abbuffandosi, senza preoccupazioni.

Un bel giorno trovano il deposito vuoto.

Niente più formaggio per loro, così sono costretti ad affrontare il cambiamento, ognuno con le sue metodiche.

I topolini, esseri semplici, si mettono subito alla ricerca di un nuovo formaggio.

I due gnomi, affrontano la cosa in maniera diversa.

All'inizio si avviliscono e decidono di aspettare che qualcuno gli riporti il loro adorato formaggio, ma nessuno lo fa, il tempo passa e la fame aumenta.

Così uno dei due, decide di affrontare il cambiamento, di superare la paura dell'ignoto e di mettersi alla ricerca di un nuovo formaggio.

L'altro resta, ed aspetta arrabbiandosi con la sorte che gli aveva sottratto il formaggio a cui era abituato ed affezionato.

Questo, non è stato un libro “illuminante" per me, già da tempo sono in cerca del mio formaggio. Ne trovo pezzetti lungo la strada che mi rincuorano, e che mi invogliano a continuare il cammino che ho intrapreso, alla ricerca del mio deposito, situato in qualche parte nel labirinto della vita. Mi ha fatto piacere, però, leggere pensieri che erano già miei o che ho fatto miei in questo percorso di scoperta di me stessa e delle mie potenzialità.

Per esempio che la paura che ci blocca nel cambiamento è quella d' immaginarsi mostri sempre più grandi di quelli che incontreremo poi nella realtà.

Oppure che niente è più frustrante nella vita che restare fermi, in attesa che qualcosa accada.

Se vogliamo qualcosa dobbiamo lavorare per ottenerla, che sia un rapporto d'amore soddisfacente, o una prospettiva di lavoro migliore, o qualunque cosa desideriamo nella nostra vita.

La ricerca, il movimento, il mettersi alla prova è già gratificante di per sé, al di là dei risultati, perché ci fa prendere fiducia in noi stessi, dà un senso alla nostra esistenza.

Ed ancora, che non bisogna avere paura di guardare in faccia la realtà, qualunque essa sia, perché ci aiuta a fiutare i cambiamenti, ed ad essere preparati ad essi quando arriveranno, perché nella vita tutto è mutevole e guai se così non fosse.

Dunque questa breve libro è interessante nel suo messaggio, ma purtroppo è stato strumentalizzato da manager di azienda che lo regalano ai loro lavoratori durante le convention per motivarli nei cambiamenti.

Viene utilizzato per il suo messaggio di mobilità, equivalente, secondo loro, alla flessibilità lavorativa.

Oggettivamente, in una società che funziona, la flessibilità lavorativa sarebbe un ottima cosa.

Crescere nel e con il lavoro, essere sempre pronti al cambiamento, migliorare le proprie attitudini e potenzialità, mettersi in gioco a qualunque età.

Stimolante come idea, all'estero forse questo accade davvero, ma è poco realistica nella nostra società italiana.

Flessibilità, da noi e solo sinonimo di disoccupazione, di contratti a tempo determinato, e di un loro mancato rinnovo.

Flessibilità è sinonimo di non avere garanzie lavorative, di non avere malattie pagate, di non avere maternità o ferie retribuite.

Flessibilità da noi, vuol dire piegarsi a novanta gradi per portarsi quattro spiccioli a casa.

Per questo motivo in una società del genere, regalare questo libro ad una convention mi sembra una grande presa per i fondelli, un modo per dirci: “State buoni, zitti, guardate che la flessibilità, il mutamento, il cambiamento, sono tutte cose belle, stateci dietro e vedrete che otterrete grandi cose da voi stessi” mentre, in realtà, l'unica cosa che vogliono ottenere è negarci il nostro diritto fondamentale: un lavoro continuativo, quello che ci permette di fare progetti di vita, di pensare ad una casa, ad una famiglia, alla salute, alle ferie, senza sentirci sempre con l'ansia del “Ce la farò? Riuscirò ad arrivare a fine mese?”.

C'è una cosa che non hanno calcolato però, che questo libro incitando alla ricerca del nostro formaggio, ci fa anche capire che questo formaggio lo possiamo trovare ovunque, non è detto che dobbiamo restare ancorati ad una società che ci offre poco o nulla. Possiamo esplorare il labirinto della terra, fino a quando, anche a cent' anni, non saremo riusciti a trovare il nostro, fantastico, unico e meraviglioso formaggio.

Dunque, ad ognuno di noi...

Buona ricerca del proprio fantastico formaggio!

7 commenti:

Mike ha detto...

A me piace il gorgonzola!

Elisewinfox ha detto...

ahahaha scemo! :-*

Anonimo ha detto...

Come spesso è accaduto in passato condivido le tue riflessioni;In evidenza il darsi da fare se si vuole un cambiamento e la tristezza che viene pensando che il libro è usato dalle aziende per stimolare la produttività dei dipendenti...
Bellissimo pezzo EliseWinFox!
Aladino_afc

Marco ha detto...

Questo libro mi puzza di apologia di conformismo e promuove un modello di vita passivo, adattativo nel senso peggiore, basato sull'assenza della scelta, sull'adeguamento allegro e ottimista a qualsiasi situazione, anche non conforme alle esigenze. E' nient'altro che il manuale per il perfetto consumista indifferente, a giudicare dalla trama. Pensate alla situazione: i topi non sono liberi, sono in un labirinto e una forza estranea su cui niente possono e contro le cui azioni niente tentano minaccia di continuo la loro stabilità, cambiando sempre le regole di un gioco a cui non possono sottrarsi, costretti a correre tutto il tempo per sopravvivere, mentre non hanno un vero senso di costruire qualcosa, di arrivare da qualche parte coi loro sforzi (ma sono topi, sono esseri semplici, a chi conviene che gli esseri umani vengano raffigurati e si raffigurino essi stessi con atteggiamenti meccanici e senza necessità di un significato per l'esistenza?). Sì, uno scopo ce l'hanno: il formaggio. Ma oltre ad essere un bisogno obbligato è anche un bisogno indeterminato, legato al continuare a tirare avanti piuttosto che al gustare. Il "topo"/consumatore ideale è infatti delineato nella "morale" di questa favola interessata e velenosa come quello a cui va bene ogni formaggio, che dimentica in fretta il gusto del vecchio per aderire entusiasticamente a quello del nuovo e, ultimativamente, non ha altro obiettivo di riempirsi la pancia con qualcosa purchè sia, magari a vagonate, a costo di non decidere cosa mangia.Il topo si adegua di volta in volta ad una situazione che è precaria nel tempo ma senza uscita nell'istante. Il suo distacco è dunque un'illusione: in realtà è svilimento, simile a quello del carcerato o del tossicodipendente. Altri elementi malamente occultati mi sembrano indizi del carattere indottrinatorio e ipnotico di questo apologo. Ad esempio, la metafora del topo e del formaggio nella cultura americana-anglosassone è collegata spesso all'espressione "rat race", ovvero la corsa insensata, costruita e con un beneficiario reale diverso dal corridore che pure si sforza col miraggio di un traguardo mobile e pretestuoso. Qui abbiamo un più comprensivo labirinto, ma niente toglie che il topo sembri procedere a caso, che sia indifferente al percorso (o scelga quello più breve) e che comunque il formaggio stia solo in certi punti (o forse solo in un punto per volta). Inoltre è nascosta la vera base della storia: il topo è *dipendente* dal formaggio, a qualunque costo. E non è finita: non può produrre il suo formaggio ma solo ottenerlo da un fornitore esterno alle condizioni di quest'ultimo (problema della proprietà). Il topo dunque non ha i mezzi per costruirsi un futuro colle proprie mani, per prendere in mano la propria prosperità, per fare progetti veri, se non seguendo la corrente. In altre parole è uno schiavo, perchè artificialmente reso incompetente e ininfluente, proprio come il cittadino-consumatore che ha disimparato a contare su di sè. E noi dovremmo accettare una simile "saggezza", quella di chi diventa parte della folla che lo spinge solo per non essere spinto? E' la saggezza dei disperati, questa! E poi basta con questa economia della penuria! Sappiamo bene che la scarsità di risorse non è tutta naturale ma dovuta alla volontà di accaparramento di chi mira al potere tutto per sè. Mi dispiace, se io fossi quei topolini mi metterei a vivere vicino al formaggio, mordendo chi prova a spostarlo. Poi potremmo anche decidere, insieme o alla spicciolata, di andare altrove, ma solo se il formaggio è finito o non ci piace più. Scusate la lunghezza.

Marco B. ha detto...

Dunque la tua interpretazione centrata sulla ricerca, sull'impegno,sul mettersi in gioco, sulle infinite possibilità mi sembra una lettura troppo ottimista che non tiene conto di tanti elementi. Sono valori bellissimi, ma oggi vengono citati in maniera interessata, solo per far sì che la gente continui a muoversi e non si opponga. Si tratta di una colossale presa in giro,basata sull'ingenuità di certa cultura americana del "darsi da fare". Si convincono le persone che un mondo fantastico le aspetta ma è solo un modo per fargli alzare il culo e svolgere la mansione prevista. Inoltre il libro è chiaramente basato su di un'economia delle penuria, in cui una sola parte determina il cambiamento perchè ha in mano la risorsa (la mano del tizio che sposta il formaggio) e non deve rendere conto di ciò a nessuno. Sul fatto poi che ognuno cerchi la sua realizzazione, niente di più lontano dalle conclusioni del topo a fine racconto: lui non sta cercano un certo formaggio a cui poi affezionarsi, anzi cerca un formaggio qualsiasi e si sforza di farselo piacere anche se è diverso da quello che cercava o che aveva prima (viene da pensare che non gli importi neanche se il formaggio gli fa schifo. L'unico criterio di selezione del formaggio è la novità, nel più crasso stile capitalista: "annusare il formaggio, perchè se è vecchio puzza", che è ben di più che invitare ad aggiornarsi, è invitare a buttar via il passato: "quanto più in fretta dimenticherai il vecchio formaggio tanto più apprezzerai il nuovo". E notiamo bene che non dice l'inverso, che sarebbe ben più pragmatico: l'approvazione del nuovo non è conseguenza di una valutazione ma dell'oblio di un termine di confronto). Grazie, volevo proprio esternare queste cose, a volte a pensarle ci si sente soli.

Marco B. ha detto...

Infine il sottotitolo non dice "cambiare", semplicemente, cioè diventare qualcosa di diverso accettando, facendo diventare il diverso una parte di sè,con armonia e convinzione. Dice "cambiare sè stessi" E' uguale? Per me, che sono appassionato di semantica, uguale un corno. L'insistito riflessivo delinea due figure, una specie di topo scisso. C'è il topo che impone il cambiamento e il topo che subisce il cambiamento, ma sono due pezzi dello stesso topo che si fa forza, non tanto nel senso che si fa coraggio ma si smuove, si spinge a fare qualcosa (messaggio dei manager interiorizzato come proprio?) e diventa "un altro", mentre a "cambiare" e basta, rimanendo sè stesso, è solo il mondo, il contesto di mutamento continuo che va però avanti colla caparbietà di una macchina su cui non si può agire. Bleah.

Elisewinfox ha detto...

Molto interessante la tua visione, in termini piu' approfonditi arrivi alla mia stessa conclusione, cioè che il libro è utilizzato per strumentalizzare.
Grazie, Marco, per la tua attenta analisi.